Incontro con il Vescovo

Martedì 14 dicembre: incontro del nostro Arcivescovo con i giovani del nostro Liceo

“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”
(Papa Francesco)

Mons. Castellucci ha incontrato, il 14 dicembre, molte classi terze della nostra scuola: 5 presenti in aula magna e 4 in DAD. Tema affrontato: la riflessione giovanile sul dramma del Covid con riferimento al passato, al presente e alle speranze nel futuro.
Vi era un grande silenzio in aula magna, nelle due ore dell’incontro, mentre gli studenti leggevano a turno interventi e contributi scritti preparati in precedenza, per poi dare la parola al vescovo, e infine aprire un dibattito franco e appassionato, aperto a tutte le sensibilità e convinzioni personali espresse dai giovani presenti.
Sì, perché l’aspetto più proprio della iniziativa è stato questo: i protagonisti indiscussi sono stati i ragazzi, che hanno mostrato una capacità evidente di sapere gestire l’incontro, arricchendolo, pur avendo solo 16 anni, di contributi mai banali, frutto di esperienze spesso dolorose e della approfondita riflessione personale sugli eventi stessi.
Mons. Castellucci si è posto anzitutto in ascolto dei nostri studenti e forse, come appare anche dal saluto natalizio rivolto alla chiesa modenese, in ciò possiamo tutti trovare un motivo di speranza in questi giorni così difficili. In un certo senso, sono proprio loro, i giovani, che possono insegnarci l’amore per la vita e la necessità, ora più che mai, di combattere gli effetti nefasti del virus sul piano anzitutto culturale: con le “armi” della condivisione, della amicizia, del libero confronto delle idee. Perché solo così sarà davvero sconfitto il Covid, con i rischi che esso comporta di impoverimento estremo delle relazioni sociali.

RIFLESSIONE SUL PASSATO, IL PRESENTE E IL FUTURO

Classe 3B

Quando hanno dato l’allarme nazionale da un giorno all’altro ci siamo trovati chiusi in casa: era una situazione nuova, ancora non sapevamo quello che avremmo dovuto affrontare e anche se fossimo stati preparati al peggio non ci saremmo mai potuti immaginare qualcosa di simile. Personalmente il primo lockdown non l’ho vissuto male, forse per l’euforia dello stare a casa da scuola e appunto per il fatto che nessuno ancora conosceva quanto grave fosse ciò che ci stava accadendo. Ne ho approfittato per passare più tempo con mia mamma, che facendo l’avvocato aveva iniziato a lavorare da casa, mentre mio papà, veterinario, era obbligato ad andare a lavoro lo stesso. Ho sfruttato in maniera positiva i mesi del primo lockdown, e li ho dedicati a conoscermi meglio e a sviluppare nuove passioni come quella per la cucina. Le preoccupazioni erano ancora lontane e l’estate era alle porte, quindi penso che grazie a quest’insieme di fattori, sono riuscita a gestirlo abbastanza bene.

All’inizio dello scorso anno scolastico ero speranzosa e mai mi sarei aspettata che di li a poco avrebbero chiuso di nuovo tutto e che sarebbe iniziato un inferno. Il secondo lockdown, dunque, l’ho vissuto molto peggio: non so spiegare di preciso il perché, penso che anche in questo caso siano stati un insieme di fattori a rendere il tutto molto più difficile. Ero sempre in casa da sola: i miei lavoravano tutto il giorno e avere così tanto tempo per stare da sola ha segnato l’inizio della mia distruzione. La didattica a distanza è stata assolutamente terribile e non la riproporrei per nulla al mondo: il distacco tra alunni e professori - ma anche tra gli stessi compagni-  è cresciuto sempre più e per loro siamo diventati soltanto un’immagine dietro ad uno schermo. Nessuno si curava di come stavamo veramente, se avevamo parenti in difficoltà… anzi ci riempivano solo di studio e compiti, giustificandosi con il fatto che avevamo molto più tempo per studiare dato che non potevamo uscire di casa.

Lo spegnere la telecamera contribuiva a farci isolare maggiormente dalle uniche “persone” con cui potevamo conversare durante la giornata e così si spegneva anche quella parvenza di normalità a cui ci costringevano a partecipare. E mentre i prof si lamentavano del fatto che gli alunni non seguivano abbastanza e che usavano le solite scuse del microfono e della telecamera che non funzionano, nessuno però si chiedeva cosa stesse realmente facendo la persona dietro lo schermo oscurato. Pensare che magari non era un modo per non seguire la lezione, ma magari la gente soffriva, stava male. No, invece nessuno se lo è chiesto, hanno solo fatto supposizioni. Un mare , di preoccupazioni, di paure, di insicurezze che pian piano si faceva strada dentro di noi e che nessuno cercava di fermare perché nessuno era interessato a vedere.

Tornare in presenza è stato sicuramente un fattore positivo per tornare pian piano alla normalità, soprattutto perché noi, come singoli, e come tutti, abbiamo bisogno di rapporti sociali: di parlare con i compagni, ridere, scherzare, discutere… questo prima di tutto ci era stato tolto e questo prima di tutto era ciò che dovevamo recuperare per tornare a vivere. Dico vivere perché personalmente i mesi di lockdown per me non lo sono stati: si trattava forse più di un sopravvivere, resistere e aspettare. Non c’era nulla che mi desse gioia, che mi facesse stare bene. Era come se tutte le emozioni negative, l’ansia, la tristezza, lo stress, la rabbia avessero legato le catene attorno a me e io non ero in grado di reagire. Tornare a vivere dunque per me è stato difficile, e lo è tuttora: sono sicura che il lockdown abbia solo portato alla luce problemi che già in piccolo erano presenti dentro di me e che hanno avuto l’occasione di crescere ed esplodere. Il mio obbiettivo principale dunque ora diventa quello di reagire, di trovare dei motivi per tornare o meglio iniziare a stare bene. Non so precisamente quali strumenti mi servano o come agire, ma so che devo affrontare ciò che mi si presenta davanti giorno per giorno e circondarmi di persone che mi fanno stare bene, sapendo che nella vita ci sono sempre alti e bassi, bisogna solo imparare a conviverci e a gestirli, in maniera che non controllino la nostra vita. 

***

Il primo lockdown l’ho vissuto in maniera positiva, sono riuscita a dare davvero importanza agli altri e a definire quali siano gli amici veri e quali no.

Durante il lockdown attraverso i social ho conosciuto alcune persone e credo che se il lockdown non ci fosse mai stato sarebbe stato impossibile, poiché sono una persona molto timida.

Durante i mesi in cui siamo stati obbligati a rimanere in casa, mi sono posta il problema se un’entità superiore esistesse o meno, qualche volta ho letto qualche passo biblico per avere più speranza nel periodo difficolto che è stato.

Tuttavia rimango dell’idea che non esista nessuna entità ma, che siamo noi gli artefici del nostro destino e che solo noi possiamo salvarci dalle situazioni difficili.

 Durante il lockdown c’è stata molta “responsabilizzazione” da parte degli adulti sul modo più indipendente di studiare.

Il lockdown mi ha aperto profonde riflessioni che hanno contribuito a rendermi la persona che ritengo di essere oggi.

Durante il tempo passato in quarantena ho potuto approfondire le mie passioni e leggere molti più libri di quelli che, non avrei letto se non ci fosse mai esistito il covid.

L’anno scolastico precedente è stato molto difficile e psicologicamente pesante da sopportare.

Poiché non mi sentivo a mio agio con me stessa e per alcuni problemi personali, ero diventata più chiusa con le persone e questo ha influito sulla mia vita.

Ma oltre alle cose negative mi ha dato tante speranze di una ripresa e la voglia di poter migliorare ogni giorno di più.

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Mi fa strano pensare che da febbraio 2020, quando ci è arrivata la prima comunicazione che saremmo dovuti stare a casa solo per due settimane, siano già passati praticamente due anni. Due anni in cui il tempo per me si è quasi fermato.

Quando ci è stato comunicato dai rappresentanti d’istituto che la scuola avrebbe chiuso, era una domenica pomeriggio, io ero felice perché il giorno prima avevo fatto una verifica di storia che era andata bene e stavo organizzando una festa a sorpresa per delle mie amiche. Mi sembrava un giorno come tutti gli altri, ed effettivamente lo era, ma non avrei mai pensato che quello sarebbe stato il mio ultimo ricordo di “normalità”. Sul momento ero anche felice al pensiero di prendermi una pausa, ma adesso, a distanza di tanto tempo, posso dire che questa pandemia mi ha cambiata, ma non so sinceramente se in meglio o in peggio.

La cosa che forse mi ha fatto più soffrire è che con più della metà delle persone che erano presenti a quella festa a sorpresa che stavamo organizzando adesso a malapena ci salutiamo. Io era veramente convinta che tutte le mie amicizie sarebbero durate per sempre, ci credevo davvero, eppure è bastato che ci chiudessero in casa per perdere i rapporti. Quando sono uscita dalle medie io ero quella “con tanti amici” e che si divertiva sempre, mentre adesso ci sono volte che preferisco di gran lunga starmene a casa da sola piuttosto che uscire. E non so perché, non riesco a capire il vero motivo di questo cambiamento. Certo alcune amiche mi sono rimaste e forse erano queste le uniche amicizie destinate a durare perché sono le più vere.

 

Il primo lockdown, tutto sommato, posso anche arrivare a definirlo “divertente”, dopotutto la didattica a distanza era una cosa nuova per tutti, vedere i professori cimentarsi con la tecnologia è stato anche rallegrante. Inoltre i pomeriggi li passavo con mio fratello, al quale prima non dedicavo tanto tempo e il carico di studio non era neanche troppo pesante. Per me il vero problema è iniziato con la seconda chiusura di scuole e palestre a novembre 2020. Da questo periodo fino alla fine dello scorso anno scolastico mi sono ritrovata veramente a rinchiudermi in una “bolla” che era diventata la mia stanza, dalla quale non uscivo per ore per provare a studiare le infinite materie che avevo, e in realtà, devo ancora uscirci definitivamente. Le mie giornate si sono trasformate in loop continui in cui non parlavo quasi con nessuno a parte una mia amica con la quale studiavo e che è l’unico motivo per il quale ho continuato ad avere un pò di serenità in queste lunghe e ripetitive giornate. Dico che forse devo ancora uscire da questa bolla in cui mi sono chiusa perché, anche se adesso le cose vanno meglio, passo ancora le mie giornate a studiare senza fare altro; è diventata come una ossessione. Alcuni giorni in cui magari ho meno da studiare per il mattino seguente mi ritrovo comunque a passare sei ore sui libri per provare a mettermi avanti, perché a scuola non voglio fare una brutta figura con i prof, non voglio che pensino che io non ci tenga. La cosa peggiore è che purtroppo certe volte i risultati che ottengo non sono come quelli che speravo e questo mi butta giù, mi ritrovo a pensare di dover fare ancora di più.

Può sembrare una cosa banale e di nessun valore ma una delle poche cose che mi ha aiutata è stato riprendere lo sport che avevo interrotto per la chiusura delle palestre. Faccio danza da quando avevo tre anni ma non mi ero mai accorta di quanto mi aiutasse. È l’unica valvola di sfogo che mi rimane e quando mi è stata tolta sentivo che qualcosa in me non funzionava.

Infine un’altra cosa che prima della pandemia davo per scontata erano i miei nonni. Ho passato mesi senza poterli vedere e, anche quando ho iniziato di nuovo ad andarli a trovare, avevo sempre la paura di poter fargli del male, di attaccargli questo virus che per loro sarebbe stato quasi sicuramente mortale. Quando in casa litigavo con i miei genitori o ero triste per qualcosa, avevo l’abitudine di andare sempre a casa loro per passare qualche ora tranquilla e serena. Ho capito che finchè ho la fortuna di averli devo passare più tempo possibile con loro perché tutto questo non è per sempre.

In casa mia abbiamo la fortuna di non aver mai avuto a che fare faccia a faccia con il covid, ma molte volte penso a tutte quelle famiglie che sono state allontanate da un momento all’altro dalle persone che avevano sempre al loro fianco e non le hanno più viste. In confronto mi posso ritenere fortunata ma anche io penso di aver perso qualcosa...

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Il primo lockdown l’ho affrontato in modo sbagliato, secondo me, perché lo vidi non come una situazione di emergenza ma più come un motivo di svago con qualche limitazione. Certo, subito ho avuto paura, visto che i giorni seguenti la notizia ho avuto anche la febbre ma andando avanti col tempo mi sono reso conto della gravità della situazione, semplicemente guardando i comportamenti dei miei amici e le preoccupazioni e limitazioni che gli imponevano i genitori. Nonostante ciò e, come ho scritto già in un compito, non credendo, non ho associato il lockdown a Dio ma tuttalpiù alla stupidità dell’uomo. Per il dolore, bisogna sopportarlo, perché la vita ne è piena.

L’anno scolastico non è stato dei migliori, dopotutto eravamo in DAD e non siamo praticamente riusciti a studiare niente, per non aggiungere che io non ci mettevo impegno, questo comportamento, non solo da parte mia, ha poi diviso un po’ la classe. Fortunatamente lo abbiamo risolto ma mi ha colpito per quanto riguarda il fattore psicologico e delle relazioni, tra pandemia e la scuola avevo seriamente pensato a un brutto modo di andarmene…… Ma è meglio non pensarci d’altro canto sono ancora qui e chiuderò il discorso come un brutto momento. Mi impegno sempre a vedere le cose in modo positivo e ottimistico ma quando riescono a spezzarti è difficile ripartire.

Per il ritorno a scuola la mascherina non dà problemi, anzi aiuta contro il freddo di mattina anche se non riesco a comprendere come le istituzioni non si accorgano delle lacune per il rientro sicuro.

Se c’è un motivo per uscire da questa tragedia non lo so, piuttosto auguro allo stato italiano di rimanerci finché non sarà cambiato in meglio, troppa confusione e polemiche inutili, dal mio punto di vista, tanto da non badare al futuro di noi giovani e su come dovrebbe essere un buon governo e continuando a non farci studiare sulla storia argomenti attinenti al nostro presente. So bene che guardiamo al passato per non commettere gli stessi errori in futuro e so che l’Italia è uno dei paesi più acculturati in Europa ma non ritengo pienamente necessaria l’abbondanza di informazioni che ci fa apprendere.

Fortunatamente il COVID non ha più una stretta di ferro come era fino a pochi mesi fa e si possono riallacciare i rapporti con le persone che si ha trascurato di più, ovviamente la mancanza di 2 anni di libertà influisce e influirà sul nostro comportamento ma ciò non toglie che un pranzo, una cena, un incontro con i nostri amici, nelle norme di sicurezza, non possa essere fatto. Infine perfino i lockdown hanno permesso, via internet, a molte persone di conoscersi e adesso, grazie alle libertà concesseci dal COVID, possono espandere il loro rapporto.

P.S. Per esperienza ho un amico a cui è successa precisamente questa cosa.

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Questi tre anni penso siano stati difficili per tutti, ognuno nel proprio modo ne ha risentito.

Ricordo che quando ci dissero che saremmo stati a casa per una settimana o poco più ero contenta di staccare un po' dalla scuola ma non avrei mai immaginato di trovarmi qui, dopo quasi tre anni, con ancora questo virus in circolazione e tutte le cause che comporta. Inizialmente non eravamo preparati a questa pandemia, anche la scuola non era organizzata quindi il primo lockdown é stato un trauma per tutti, una cosa inaspettata. Sinceramente non mi ricordo come ho vissuto il primo lockdown, penso con un po' di leggerezza perché non immaginavo che la situazione si sarebbe protesa fino ad oggi; la chiusura totale che ricordo di più e stata la seconda perché ci stavamo riabituando ad uscire anche se con le precauzioni del caso eravamo più liberi e vicino alla normalità. Quando é stato annunciato che saremmo tornati di nuovo tutti a casa e soprattutto in DAD é come se mi fosse crollato il mondo addosso; non tanto dal punto di vista scolastico ma da quello sociale. Banalmente prima non mi rendevo conto dell'importanza di poter andare a scuola tutti i giorni e vedere i miei compagni oppure avere un compagno di banco con cui scambiare due parole; ora se penso a queste cose mi sembrano miraggi. Ormai ero diventata quasi un automa, mi svegliavo giusto quei venti minuti prima di collegarmi per la prima ora di lezione e dopo cinque ore collegata pranzavo, poi mi riposavo un po' e riprendevo a studiare perché più di tanto non si poteva fare, e ripetevo ciò in continuazione. Mi sono resa conto che non provavo più emozioni, non ero né felice e né triste, ripetevo solamente la stessa cosa tutti i giorni, in modo continuo, senza nessuna variazione.

Non tutto è stato negativo, perché riflettendo, adesso che le cose sono cambiate, posso dire che anche io sono cambiata; ho fatto amicizia con persone che non avrei mai pensato che mi sarebbero state simpatiche e ho iniziato ad apprezzare le piccole cose che prima davo per scontate. Oltre all'ambito personale penso che abbia cambiato tutti questa calamità naturale, la tecnologia é avanzata moltissimo negli ultimi anni e dobbiamo ringraziarla se abbiamo potuto tenerci in contatto nonostante le restrizioni, inoltre tutti ci siamo ingegnati per trovare una soluzione per affrontare la situazione; da ringraziare è anche la scienza che ha fatto enormi progressi.

Nonostante tutt'ora ci siano ancora norme anti-Covid da rispettare penso che siano il male minore, un piccolo sacrificio che facciamo per poter tornare pian piano alla normalità e penso che ne valga la pena.  Per andare avanti dobbiamo pensare positivo e guardare il futuro, non rimuginare il passato ma usare le esperienze negative vissute per ricavarne qualcosa di utile che ci facciano andare avanti.

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Il primo lockdown è stato un’avventura: un’esperienza nuova, che ha portato alla luce priorità e necessità diverse da quelle quotidiane e che mi ha permesso di staccarmi per un attimo dalle azioni di tutti i giorni e concentrarmi su me stessa.

Non avevo paure, o meglio ero preoccupata per la situazione Covid -19 in Italia, ma non ero spaventata. Di fatto tutti avevamo un grande responsabilità, affinché avessimo potuto tornare a vivere come prima, perciò era necessario rispettare e rispettarci tra di noi e dimostrarci una comunità unita.

È aumentata la tua capacità di riflessione, lo spazio dato alla lettura? no, purtroppo la lettura non mi affascina e non mi coinvolge. Il mondo dei libri è un mondo a parte rispetto a me.

Ti sei posto problemi su Dio, sulla sua assenza o sulla sua (possibile) presenza nel dolore! Si, i problemi riguardo la possibile presenza di Dio me li pongo da quando sono piccola, e fino ad ora che sono atea, perché la sua esistenza e religione si basano sulla fede che noi cristiani riponiamo in lui, però non comprendo il motivo per cui lui ci debba condurre a tutto ciò.

Per quanto riguarda o scorso anno scolastico, nel suo percorso accidentato, contraddittorio, sono riuscita a viverlo abbastanza bene, nonostante la poca collaborazione tra noi alunni e il poco stimolo di studio e di apprendimento.

Malgrado le distanze, i rapporti con gli altri sono rimasti gli stessi, quello che è cambiato è la quantità di fiducia che pongo in ciascun di loro. Sono rimasta la stessa persona di prima, solare com’ero, ma faccio più attenzione al modo in cui mi esprimo con le altre persone. In fin dei conti se ci è stata sottoposta questa prova (ossia il Covid-19) vuol dire che eravamo pronti per superarla, altrimenti non ci sarebbe stata posta.

Siamo tornati a scuola, mascherati… È di certo un inizio, un passo verso la normalità, ma non rinnego la mancanza del sistema scolastico prima del Covid. Ormai la scuola non è più un luogo di apprendimento e formazione culturale, ma più una competizione di voti, a causa dei quali passiamo notti in bianco, pomeriggi a piangere, e momenti di scontro con altre persone per via dei malumori che questi ci provocano.

Tra oggi e domani. La pandemia non deve essere un punto negativo, ma il nostro punto di forza che ci permette di attuare una svolta. Non so come vorrei che il mondo reagisse e di conseguenza fosse, ma so che molte persone non fanno altro che lamentarsi invece di cambiare e trovare soluzioni ai loro lamenti. Finché siamo in vita, a tutto c’è una soluzione e, non esiste cosa che non si possa affrontare.

Se durante la pandemia un rapporto, una amicizia, qualsiasi tipo di legame si è rotto, ringraziate la pandemia, perché sareste continuati a stare con persone che non si interessano di voi, né tanto meno erano coi essenziali, e se dunque il rapporto si è chiuso è stato allora meglio perderlo e, non averlo più ora.

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Il primo lockdown è passato velocemente e in modo per lo più normale, ad esclusione della prima settimana in cui dovevo lentamente cercare di ritirare fuori quella parte di me più sociopatica che di solito cerco di nascondere perché, suvvia, a chi piacciono le persone così? Ma ha fatto abbastanza in fretta a spuntar fuori, di conseguenza, appena le mie amiche hanno avuto il tempo di trovare qualche pretesto per non parlarmi e litigare con me (tutto ciò a mia insaputa), tutto è ritornato velocemente al suo percorso naturale.

 I giorni non sono stati molto interessanti, ma quando mai la vita di una ragazzina di 14 anni di una cittadina dimenticata da Dio, può essere interessante? Come la mia noiosa routine vi era prima del lockdown, vi era nel mezzo di esso e anche in seguito. Non ho preso alcune responsabilità nei confronti di nessuno, nemmeno di me stessa. Ho abbandonato la mia mente e il mio corpo all’oblio di una camera, vivevo semplicemente di caffeina e dolci, non dormivo e passavo intere notte a scrivere testi. E con sincerità ammetto che in questo ho visto un margine di peggioramento, in caso la mia vita futura andrà come voglio, e non la trovo in alcun modo cosa negativa. Ho riflettuto a lungo in quel periodo, ho avuto molti stimoli per farlo...ho pensato per lo più al perché noi viviamo e camminiamo in posizione eretta invece di rotolare, spero convenga con me che se rotolassimo sarebbe molto più comodo poichè non dovremmo porci il cruccio di guardare in faccia chi ci si pone davanti.

Capisce quindi che non avevo nè la voglia… nè la voglia di farmi domande troppo banali sulla religione, in particolare Cristiana...perché sinceramente di dove vuole star Dio, nel dolore o nel piacere, in chiesa o in un tempio, sicuramente non è affar mio, ma solo ed esclusivamente dell’Altissimo.

 

 Io lo scorso anno lo eliminerei completamente dagli anni noiosi. Davvero! Tante risate come quelle che mi sono fatta l’anno scorso le avevo fatte solo il 12 Dicembre del 2012 quando i Maya, bastardi, avevano promesso la fine del mondo e la gente era tutta preoccupatissima. Davvero esilarante. Forse era meglio se il mondo si fosse estinto quando ero solo una bambina di 7 anni , avrei fatto sicuramente meno sogni inutili e avrei sofferto di certo molto meno. Ma non è di questo che stiamo parlando.

 In breve l’anno scorso è stato una tragedia, e io amo le tragedie.

 Tutto è andato per il verso sbagliato ...mi sentivo come se fossi finita accidentalmente nella rappresentazione pratica della legge di Murphy. 

"Se quel ragazzo ha un modo per commettere un errore, lo farà".  E’ la mia descrizione più accurata a parere personale della sottoscritta.

 Ho imparato quanto fosse bello sentirsi soli, ho imparato quanto fosse bello farsi male ed è quasi diventata una dipendenza. Voler andare oltre le proprie possibilità, ma bloccarsi di proposito per poter sentire quel peso allo stomaco, quel dolore enorme e quella bellissima voce nella testa che ti dice “sei un fallimento”. Non so se lei ha mai avuto la possibilità di provare questa esperienza mistica. Il riuscire ad auto-sabotarsi e poi piangere per ore e ore perché ti rendi conto di essere più stupida di quanto tu stessa pensi. Ma ancora più bello è stato l’essere riuscita a sfogarmi sulla mia pelle, poichè sfogarsi con le persone è brutto, orrendo. Se ti sfoghi piangendo sulla loro spalla, il massimo che ti dicono è:” Non fare così”, “adesso tutto passa”... ma tu vorresti rispondere che non vuoi che questo passi, perché il dolore è più confortante della gioia. Il dolore sai che c’è sempre, mentre la felicità e infima quanto gli esseri umani. Un giorno c’è , l’altro invece no. Le persone, se ti vedono infastidito di portano fino al limite, finchè non scoppi. Se lo fai e ti esce mezza sillaba contro di loro, loro fanno le vittime invece che capirti. La tua pelle invece è “tua” , e per una persona come me, che ha coscienza di sè stessa sin da quando era piccola, è l’unica via di fuga. Incolpi te stesso, odi te stesso, poi fai pace e torni ad amarti per quello che sei, poi tutto da capo. 

Diverse esperienze che sono noiose da raccontare, mi hanno fatto capire che io delle persone non mi fido, non l’ho mai fatto e mai lo farò questo perché non sopporto l’ipocrisia che aleggia nella nostra società, nei nostri politici, nelle nostre leggi che non servono a nulla, tanto viviamo nel caos. Mi reputo misantropa e non lo nego, potrei benissimo essere, per quanto mi riguarda, Socrate o Platone, magari  Kant.  

 

Non saprei come spiegare il fatto che, mascherati o meno, il ritorno a scuola è e sarà per sempre, un trauma. Vedere 22 persone tutti i santi giorni e convivere con loro per un lasso di tempo che varia dalle 5 alle 6 ore fa morire la mia fantasia. Ma è stato esilarante come una prof che nemmeno mi conosce, sa solo che disegno e che scrivo, mi ha chiesto di fare un disegno su una poesia di una mia compagna, senza magari neanche porsi il problema, del fatto che io non sia in questa scuola perché mi piace illustrare la mente altrui, e senza porsi l’immenso quesito del perché dovrei farlo? Nel senso, magari anch’io scrivo, magari mi urterebbe a livelli astronomici il fatto che i miei testi non vengano presi in considerazione mai da un’anima. E che mi dà davvero fastidio che solo perché io so tenere in mano una dannatissima matita sappia fare solo quello. 

Per lo meno, e questo è un punto in suo favore, mi ha dato lo stimolo per non dormire la notte e scrivere, leggere a ripetizione, affinché nessuno mi metta i piedi in testa. Quindi alla fine dei conti mi ha dato quel tocco di disperazione che non sentivo da quest’estate.

Alla domanda “come vivo il presente” dunque rispondo che lo sto vivendo come un anno normalissimo, penso ai fatti miei dalla mattina alla sera, e continuo a fare le solite cose.

 

L’ affievolirsi della speranza, in una società come la nostra, è solo l’inizio di dolori atroci. E io, anche se sogno una società utopica, dove alle persone frega degli altri, dove vi è cultura, dove tutti sono disposti ad usare il loro cosiddetto : “cervello”;  sono pronta a sedermi con i mano il mio adorato sacchetto di Pop-corn ad osservare il mondo andare a rotoli.

«dallo storto legno dell'umanità, nulla di dritto potrà mai essere creato»: Concordo e sottoscrivo, infatti, i campi in cui dovrebbero attuarsi cambiamenti sono fin troppi, e i cambiamenti altrettanto enormi. E’ inutile che ci nascondiamo sotto il “politically correct” di una chiesa che vieta di abortire esseri umani, che nessuno desidera al mondo, che impedisce a coppie gay di amarsi perché l’amore è innaturale, che nasconde segreti più grnadi e loschi di quelli dello stato stesso. Per non parlare del fantomatico politically correct e gli stigmi inconsistenti della società che fra un po’ ci farà parlare ed esprimere come delle marionette nei cartoni disney, dove tutto è bello è buono, tutto è perfetto e nessuno guarda in faccia la realtà. Che se una persona è grassa, è grassa punto, se è malata è malata punto. Se è di colore, è di colore punto. Certo, le cose devono essere dette con tatto, perché il mondo HA BISOGNO DI EMPATIA, ma l’empatia non si verrà mai a creare con il family friendly e le liee guide dei social. 

Si ha bisogno di famiglie presenti, che educhino i figli alle diversità e al sapersi accettarsi tra di noi. Famiglie che non facciano da cuscinetto ai figli, ma che li accompagnino nell’affrontare le difficoltà, invece di andare a piangere dai professori, dai datori di lavoro perché semplifichino la vita ai propri marmocchi. Bisogna che le persone aprano gli occhi, si rendano conto della verità e che non pensino a cose futili come Aperitivi, centri benessere e i loro figli si riempiono di droghe, si prostituiscono in giro, trattano male il prossimo e poi per l’apparenza, li giustificano.

Ma tutto ciò sinceramente lo reputo impossibile ora come ora, forse grazie al covid, forse grazie semplicemente al menefreghismo, forse grazie al Diavolo e alle tentazioni. Ma il valore dell’amicizia è un valore astratto a cui, ora come ora non credo, l’amore lo credo forse l’unico sentimento possibile. Alla fine dei conti l’unico modo per reagire a tutto ciò è resistere ostinatamente

RIFLESSIONE SULLA PANDEMIA

Federica 3E

La primavera del 2020 non è stata primavera. Il tempo si era fermato a quel 24 febbraio, a quel freddo e ancora frenetico lunedì d'inverno.

La primavera del 2020 non è stata il drammatico cambio d'ora del 21 marzo, con le facce assonnate nei banchi di scuola e nemmeno la rispolverata delle biciclette. Non fu gli scherzi stupidi del primo aprile, con i disperati tentativi di rimandare interrogazioni e perdere tempo.

Durante la primavera del 2020 ci siamo persi le prime giornate più lunghe con i tramonti caldi, rossi e gialli che fanno venire voglia di estate, che sanno di estate. Si sono perse le prime scappate al mare nel weekend, i primi pomeriggi in gelateria; l'emozione di rimettere la giacca nell'armadio e uscire con solo una maglietta colorata. La primavera del 2020 non è stata la grigliata del 25 aprile, coperti dall'ombrellone verdone a discutere di ferie e vacanze, non è stata alberi in fiore e allergie. Non ansia per l'arrivo di maggio, con verifiche e interrogazioni giornaliere, né timore per un'insufficienza. La primavera del 2020 non si è conclusa con il suono della campanella il 7 giugno, non è stata nè gioia nè gavettoni, non centro estivo o nottate a cantare in balia della spensieratezza. La primavera del 2020 era ancora inverno e aveva fermato quel tempo esterno, frenetico, senza tregua, lasciandoci soli, con i nostri pensieri, chiusi in quattro mura.

Noi, sempre impegnati nel creare nuove relazioni sociali, costretti alla distanza, all'isolamento.

Un isolamento che per la prima volta nella mia vita ha comportato l'instaurazione di un legame dialettico fra la mia mente e il mio corpo. Durante il primo lockdown ho iniziato a cadere in basso, lentamente, senza trovare qualcosa a cui aggrapparmi. Ho provato una rabbia forte che ora piano piano si sta trasformando in ricordo ma che comunque lascia segni nella mia quotidianità.

Dio per me è stata una fonte di dialogo che non posso permettermi di trascurare, una costante in mesi di stravolgimenti, un flebile ramoscello a cui mi sono aggrappata nei momenti di sosta fra una caduta e l’altra e una presenza particolare e insolita capace di prendersi un po’ cura di me condividendo il dolore.

Un dolore che assume ancora oggi forme diverse e che pur di rimanere tende a trasformarsi.

Tornare a scuola i primi mesi è stato come riguardare un vecchio cartone animato che non vedevo da tempo, qualche battuta la sapevo ancora a memoria ma erano più i momenti in cui assomigliava ad un film completamente nuovo. La scuola dopo il covid ha cambiato un po’ i suoi colori, le sue modalità e organizzazioni ma è rimasta un punto fermo e un centro di socializzazione non trascurabile.

Penso che la cosa più difficile dopo la quarantena sia stata rimparare a stare con gli altri, a condividere, a non sentirsi più soli ma parte di una collettività.

Se prima del lockdown non ho mai avuto problemi a passare tempo in compagnia, ecco che al momento in cui abbiamo nuovamente avuto la possibilità di uscire, i primi sono giunti.

Non è stato facile accettarlo probabilmente perché non volevo ammettere a me stessa di essere cambiata anche se era abbastanza evidente che la Federica di febbraio non era uguale a quella nuova di giugno. Sarei probabilmente cambiata anche senza la pandemia ma sarebbe stato un cambiamento meno visibile ai miei occhi, al quale non avrei fatto così tanto caso.

E’ stato difficile riconoscersi, ritrovare un posto in un mondo nuovo. La mascherina per un certo periodo mi ha trasmesso sicurezza, qualcosa di obbligatorio dietro cui nascondermi.

Ho vissuto poi a fatica il ritorno a scuola a settembre perché i miei compagni non me li ricordavo più ed è stato come L’ inizio della prima per la seconda volta, ma se in prima la paura era subordinata alla curiosità, in seconda era proprio la curiosità ad essere in funzione della paura.

Non so come ne usciremo ma essendo sempre stata una persona particolarmente ottimista penso che dovremmo cercare i lati positivi anche nelle tragedie. Io lo faccio sempre, forse perché è un’azione che richiede impegno e talvolta è una delle poche cose in grado di distrarmi, di tenermi occupata.

Durante la quarantena ho perso un po’ me stessa, come credo la maggior parte degli adolescenti, sto ancora facendo fatica a ritrovarmi ma cerco di vivere con la speranza che il peggio sia passato, che a un certo punto ci si debba fermare a raccogliere ciò che a fatica è stato seminato.

Mi sono ritrovata naufraga in un mare forse troppo grande per me che però, piano piano, sto imparando a navigare. Senza il covid avrei sicuramente continuato a vivere in una mentalità in cui il benessere è sempre assicurato e invece ora, dopo quasi due anni in cui le relazioni sociali sono state fortemente destabilizzate, mi rendo conto che lo stare bene non è una cosa assicurata, che capita anche stare male e io per un lungo periodo ho sempre fatto finta di niente, mi impegnavo così tanto a fingere che nulla fosse cambiato che ho iniziato a camminare verso un mondo utopico, senza rendermi conto che la vita vera era molto lontana da quella che stavo facendo finta di vivere.

Capita anche di stare male e penso che ogni tanto faccia bene stare male, anzi fa bene rendersi conto e accettare di stare male, senza fingere, senza avere paura, perché imparare a convivere con il dolore è il primo passo per diventare grandi.

Ecco il covid mi ha fatto diventare un po’ più grande, mi ha chiesto di correre in un momento in cui forse avrei preferito camminare, ora ho ancora un po’ il fiatone ma d’altronde alla fine di una maratona si è sempre un po’ più stanchi.

 

I GIOVANI NELL’ERA DEL COVID

Paolo 3E

Per iniziare vorrei citare Papa Francesco: “Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda.

Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo”

 A mio avviso queste parole sono la sintesi migliore per descrivere il periodo difficile che abbiamo dovuto affrontare e dal quale non siamo purtroppo ancora usciti. Riecheggia poi una metafora dello storico greco Polibio che, riprendendo Alceo, paragona lo Stato a una nave: non importa quanto siano violente le onde, se i marinai sanno obbedire agli ordini e venire in soccorso gli uni degli altri, riusciranno a portare al termine in viaggio. La mia paura al tempo era proprio che questo viaggio non arrivasse mai ad una fine. In realtà, in un primo momento, la “quarantena”, “l’ isolamento”, che erano accezioni molto lontane per me, le percepivo perciò come qualcosa di “nuovo”, di “strano” perciò quando sono stato costretto a salire su questa nave, in un certo senso ero anche curioso. Però dopo giorni e giorni in mare, la possibilità di ritornare sulla terraferma appariva sempre più difficile e le onde, che prima erano lievi, diventavano sempre più alte e più pericolose. La paura che non saremmo mai tornati alla normalità saliva e inoltre noi giovani eravamo i più “danneggiati” e anche i più responsabilizzati. Evitavo ogni minimo contatto per non rischiare di mettere in pericolo i miei nonni, i più anziani e vulnerabili. Ecco, noi ragazzi eravamo chiamati a tutelare gli anziani nello stesso modo in cui Enea sorreggeva Anchise con la città di Troia alle spalle.

A volte mi capitava di pensare a Dio, soprattutto nei momenti peggiori. La cosa si è accentuata molto nel “secondo” lockdown dell’anno scorso. Ho sofferto molto per la continua alternanza dad-presenza e mi sentivo tanto demotivato, non solo per la scuola ma in generale. Ed era proprio in quei momenti che ogni tanto ascoltavo il rosario al pomeriggio con i miei nonni e pregavo perché comunque pensavo - e penso tuttora- che Dio ci assista soprattutto in periodi come questi. Non ho vissuto bene l’anno scorso anche perché non poter vedere i compagni di scuola - o meglio, solo allo schermo-, i compagni di squadra, gli amici è diventato alla lunga molto pesante e poi, quando abbiamo avuto la possibilità di tornare ad uscire, era come se non mi fossi sentito più a mio agio come prima. Nonostante ciò però dopo un po’ di tempo sono riuscito a superare questo brutto periodo anche grazie all’ultima estate che penso sia stata per tutti una liberazione e una gioia, a maggior ragione per noi italiani, che tra Europei e Olimpiadi siamo riusciti a toglierci molte soddisfazioni. Adesso il presente, sebbene ci siano ancora diverse restrizioni, inizia ad assomigliare alla tanto agognata “normalità” di cui siamo stati a tutti gli effetti privati per quasi due anni. Adesso siamo a scuola in presenza, mascherati, con i distanziamenti e gel igienizzanti ovunque, però abbiamo ritrovato la bellezza della chiacchierata prima di entrare, la bellezza delle risate in classe, la bellezza di fare la strada insieme per tornare a casa. Poi è vero, bisognava riabituarsi ai ritmi della scuola in presenza però a mio avviso di fronte alle cose che ho elencato prima, il resto passa in secondo piano. Ora poi sono riprese tutte le attività sportive, tutti i campionati ma anche tutte le altre attività di svago che prima non era possibile fare come una “banale” pizzata con gli amici. E secondo me, nonostante ogni divisione che ha causato il Covid, c’è una cosa che unisce sempre e comunque: lo sport. L’amore per lo sport è universale, lo sport è una scuola di valori che insegna molto di più di tante cose scritte sui libri. Insegna che con la determinazione e motivazione personale si possono fare grandi cose ma queste due da sole non bastano per raggiungere obiettivi impensabili. In occasione della partita di apertura di Euro2020, Italia-Turchia, nel prepartita Fabio Caressa, famoso telecronista, ha esordito dicendo:     “Abbiamo resistito aggrappati ai balconi, chiusi a rivedere in TV i vecchi trionfi, per nascondere nella commozione le lacrime di angoscia, paura e dolore. Ci siamo sentiti più forti insieme, perché ci siamo ritrovati uniti e compatti come solo l’Italia sa fare nei momenti di difficoltà. Ci siamo abbracciati al Tricolore perché tra noi non potevamo, soli sui tetti a suonare l’inno. Negli stadi abbiamo ascoltato il silenzio della tragedia, vento nel deserto di una speranza che sembrava più lontana. Ma tutti insieme ne stiamo uscendo, con apprensione per il futuro, con incertezze, certo, ma con fermezza, coraggio e decisione. Oggi riaprono gli stadi, è tempo di asciugarsi le lacrime, è tempo di tornare a sognare, è tempo di rialzarsi e vincere”.

Nello sport non si è mai soli e la passione non ha confini, limiti, divisioni ed è per questo che non morirà mai.

Ma adesso è veramente così: è tempo di tornare a sognare, è tempo di rialzarsi, consapevoli di ciò che abbiamo passato, ma senza più paura.

 

Riflessioni

Classe 3Dl

Non ho vissuto male il primo lockdown. Almeno non subito e sicuramente non mi ha lasciato strascichi pesanti come con altre persone.

Devo ammettere che sono stata fortunata in un certo senso, perché ho avuto modo di distrarmi grazie ai tanti hobby che coltivo. Uno di questi è sicuramente la lettura, che tutti gli anni risente un po’ il periodo scolastico, cosa di cui mi dispiaccio notevolmente. Ho scoperto qualche passione nuova e riscoperta qualcuna di vecchia. Inoltre passando molto tempo con la mia famiglia sono riuscita a consolidare ancora di più il nostro rapporto, cosa che reputo sia molto importante.

In generale credo che il lockdown abbia un pò “provato” a dividerci. Eravamo tutti in una situazione strana e capitava di sentirsi un po’ soli, e per questo penso che fosse cruciale parlare comunque con qualcuno: che fosse la famiglia o un amico, era importante continuare a scambiarsi opinioni, pensieri, riflessioni poichè in quel momento mancava la parte sociale della nostra vita, che per noi umani è da sempre molto significativa.

 

***

Da quando sono alle superiori, non ho ancora fatto un anno “normale” di scuola, senza didattica a distanza. Questo ha sicuramente influito sul mio andamento scolastico, perché chi riuscirebbe a concentrarsi stando dietro ad uno schermo?

Io mi sono sempre impegnata al massimo a scuola. Ho addirittura abbandonato il mio sport preferito per prendere voti alti in tutte le materie, molte delle quali neanche mi interessano. Passo tutte le mie giornate a studiare per paura di fallire e di deludere non so neanche io chi, dato che un voto non equivale al valore di una persona.  

Con la didattica a distanza questo mio comportamento nei confronti dello studio e delle valutazioni è solamente peggiorato.  Avevo paura di non essere all’altezza, e per questo motivo studiavo e basta. Senza un confronto diretto con l’insegnante e i compagni di classe mi sembrava di vivere in una bolla, isolata da tutto e da tutti, facendo le stesse identiche cose tutti i giorni.

Ho anche perso molti amici, ma soprattutto una delle persone più importanti per me. Con la quarantena e il Covid, ci siamo allontanate drasticamente, perdendo i rapporti. L’unica differenza è che lei aveva altri amici che la sostenevano e le tenevano compagnia, io no. Sono sempre stata una persona timida, introversa e insicura, ma con la quarantena ho realizzato che ero rimasta effettivamente sola.

Sicuramente non sono stati anni facili per nessuno, ma prima o poi ci riprenderemo e riusciremo a tornare a vivere come prima, tramite l’unione, l’impegno e la forza di volontà.

Intanto sono felice di essere tornata a scuola in presenza perché vorrei conoscere meglio i miei compagni di classe (cosa che non è stata possibile gli anni scorsi) e spero che tutta questa situazione del Covid possa finire presto.  

 

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Questi due anni sono stati faticosi sotto molti punti di vista. Alcune persone hanno sofferto molto tutto questo, altri come me un po’ meno. Nei periodi di lockdown cercavo sempre dei lati positivi anche se a volte erano difficili da trovare. Per me è stato un bel momento da godersi in famiglia e mi ha insegnato a non dare troppo per scontate certe cose. Spero però di non dover rivivere questo periodo un’altra volta perché magari altre persone potrebbero soffrire molto di più rispetto a me. Ma in caso spero che anche loro come me possano contare su dei veri amici che anche nei momenti di tristezza e solitudine riescano a farci dimenticare per un secondo le cose brutte ed a farci pensare solo alle cose belle della vita.

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È iniziato tutto con una settimana senza scuola………..

Ed io come milioni di ragazzi ero felice di passare una settimana a casa, ignorando la gravità della situazione, ma appena iniziata la didattica a distanza capii subito che quella settimana si sarebbe prolungata nel tempo, e tra problemi col wi fi, non potersi vedere con gli amici e la costante paura di ammalarsi (anche solo portando dentro casa i sacchetti della spesa) passai 3 mesi confinata nella mia camera.

All’inizio fu traumatico, mi mancava tutto, mi mancava vivere, mi mancava divertirmi e soprattutto vedere i miei amici, ma col passare del tempo mi abituai a tutto ciò, alla mia ripetitiva routine: alzarsi, fare video lezione, guardare il telefono e dormire.

E fu quello il momento peggiore, perché una volta in cui le regole si fecero meno rigide non avevo neanche più voglia di uscire, forse perché mi ero troppo abituata a quella maniera di “vivere” o forse per la permanente paura della malattia.

Con l’arrivo dell’estate la mia vita tornò quasi normale, tornai a uscire coi miei amici, ma non era come prima, dovevamo stare tutti con le mascherine e soprattutto non potevamo abbracciarci e neppure stare vicini.

Dal primo lockdown molte cose sono cambiate e con l’arrivo dei vaccini, si può fare quasi tutto, anche se tenendo la mascherina, in questi 2 anni sono allo stesso tempo cambiata e rimasta uguale; cambiata perché sono riuscita a capire tante cose e a capire un po’ meglio chi sono io, ma rimasta uguale perché ho ancora tante paure e sono sempre la stessa fragile ragazzina che si fa abbattere abbastanza facilmente da qualsiasi cosa, che non riesce mai a vedere la luce in fondo al tunnel…..

In un contesto normale credo che sarei riuscita a maturare di più nell’arco di questi 2 anni, ma considerando i fatti, anche se fra 3 mesi farò 17 anni non mi vedo cambiata rispetto a quando ne avevo 14 e tutto cominciò.

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Infezioni, contagi, tamponi, mascherine, distanziamenti, restrizioni, lockdown. Cosa sono queste parole? E come mai ne sentiamo così spesso parlare? Beh il covid19 è diventato ormai parte di ogni persona di questo mondo e ciò fa più male di quanto sembri. Chissà come sarà descritto questo periodo storico nei libri futuri, e chissà cosa ne penseranno gli studenti obbligati a studiarlo e presentarlo all’interrogazione. Forse ci odieranno per aver “creato” un argomento in più da imparare, e chi l’avrebbe mai detto. La verità è che in fondo anche noi stessi ci odiamo. Quante volte ci siamo chiesti come mai tutto questo sta accadendo e quante volte non abbiamo trovato una risposta lontanamente accettabile.

Ah la vita. Ti sorprende ogni giorno di più e ti butta a terra senza porgerti più la mano. Sta a te singolo uomo rialzarti e sorreggerti affinché tu non cada nello stesso inganno. Così, il covid ci ha buttati giù tutti, uno ad uno senza tralasciare nessuno. Che fatica…

Sembra quasi di vivere un film, un film horror. I protagonisti sono bambini, donne, ragazzi e anziani innocenti, ritrovatisi a dover sconfiggere un mostro enorme. D’altronde un uomo così piccolo cosa può fare davanti ad un ostacolo tanto grande? In realtà può fare molto, ma forse non ci tiene così tanto. Quante volte pensiamo alla nostra vita senza covid e a quanto ci manca, ma quante altrettante volte preferiamo non portare la mascherina o frequentare posti altamente affollati. Fa male non poter vivere “normalmente”, ma se si vuole tornare come “prima”, è necessario impegnarsi. Capisco poiché vivo in prima persona il fatto di dover tenere 6 o 5 ore la mascherina in classe. Che pesantezza. Ma che goduria tra qualche anno quando andrà meglio. Ma andrà meglio? Sí, andrà meglio. Io voglio pensare così e sono sicura che sarà così. Ci vuole solo tanta pazienza e altrettanto impegno affinché le cose possano sistemarsi. Un po’ di costanza e sacrifici e il covid verrà presto salutato. Ci vuole anche coraggio, tanto. Ma noi ce lo abbiamo e lo dobbiamo avere. Forza uomini, non molliamo adesso.

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Tutto ad un tratto, troppo in fretta per rendersi conto di ciò che stava realmente accadendo, è finito tutto. Le porte si sono chiuse, le macchine si sono spente, i rumori si sono zittiti e il mondo si è preso una pausa, una tanto agognata e meritata pausa. Ci siamo ritrovati chiusi all’interno delle nostre abitazioni senza possibilità di replica, senza aver nemmeno avuto il tempo di dare un ultimo abbraccio, di dire un'ultima parola, di condividere un’ultima eterna risata.

Ognuno di noi si è ritrovato inevitabilmente solo, costretto a vivere con l’unica pesante oppressione della sua ombra incombente. Per alcuni è andata bene, per altri un po’ meno. C’è chi da solo sta bene, chi tutto sommato si basta e convive bene con sé stesso. Ma per gli altri che, come me, vedono la solitudine come una gabbia con il rischio di rimanere incastrati tra le sbarre, è stato un incubo.

In realtà, prima di allora, avevo sempre convissuto bene con me stessa, mi comprendevo, mi ascoltavo e mi divertivo anche da sola, anche se ho sempre preferito la compagnia alla solitudine e i momenti passati con gli amici e le persone care a quelli senza nessuno intorno. Ma quando il silenzio è diventato troppo pesante da sopportare, ho iniziato a chiudermi in me stessa, a ragionare su di me continuamente, senza sosta, senza respiro, senza pietà. Ho trovato innumerevoli difetti che prima di allora non mi erano mai pesati ma che, da quel momento in poi, sono diventati la mia più profonda e letale ossessione. Ho coltivato e sviluppato questa paura di essere abbandonata da tutti coloro a cui voglio bene, che tutti, ad un determinato punto della mia e della loro vita, avrebbero potuto benissimo voltarmi le spalle da un momento all’altro senza che io potessi fare nulla per far cambiare loro idea.

Quel senso di abbandono opprimente penso sia stato una delle sensazioni più comuni che ci ha portato l’isolamento. Ma anche una profonda e continua nostalgia di tutto, del passato, della “normalità”, di quando tutto andava bene ma non potevamo saperlo perché, si sa, capisci il vero valore delle cose solo una volta che le hai perse. Sicuramente questa è un’importante lezione che tutti noi impareremo, mai dare nulla per scontato perché non sai mai se l’indomani la tua vita potrebbe essere sconvolta completamente.

Ognuno di noi in questi anni è cambiato moltissimo, in alcuni casi quasi al punto di dire che la persona che si era prima che tutto questo accadesse non ha quasi più nulla a che vedere con la persona che si è oggi. Personalmente mi rispecchio molto in questo concetto, ma non si tratta di una trasformazione positiva, anzi. La verità è che mi manca da morire la persona che ero prima, ogni giorno ci penso e più ci penso e più mi manca, e più mi manca più so che non tornerà mai più indietro. E questo fa male, è come essere abbandonati da sé stessi e non sapere più cosa fare.

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Ho pensato ultimamente che se dovessi tornare il lock down sarebbe un colpo al cuore, una distruzione delle mie idee create in questi mesi.

Il primo lock down non mi ha cambiato eccessivamente, diciamo che era una cosa nuova perciò una esperienza (non avevo la piena consapevolezza di ciò che stava accadendo in realtà, il COVID non mi spaventava più di tanto perché non capivo cosa fosse).

Il secondo lock down mi ha fatto un effetto diverso, avevo più consapevolezza, ero cresciuta mentalmente e le amicizie diventavano più strette ma altre purtroppo le ho viste per com’erano davvero e sono terminate. Sono cresciuta ma ho più paura, ho più consapevolezza delle persone intorno a me, che le persone non sono tutte ad aiutarti e devi arrangiarti, degli amori che molte volte non sono corrisposti e di come sono io.  Questo mi porta a pensare di più e ad avere un giudizio più maturo anche se c’è molta paura di un giudizio esterno che mi porta ad avere un giudizio personale molto severo. Vorrei essere cambiata, aver imparato ad amarmi a volermi più bene, il lock down mi ha dato più consapevolezza ma anche più paura.

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Sono passati ormai 2 anni dall’inizio della pandemia. Un loop infinito, un alternarsi di mesi rinchiusi in casa davanti ad uno schermo e mesi di frenetica libertà (sempre che si possa chiamare “libertà”). . Siamo reduci da ferite che lentamente (alcune mai) si cicatrizzeranno. Personalmente la pandemia è stato un grande periodo di crescita e non l’ho vissuta affatto male. Non mi era difficile relazionarmi con gli altri in quei mesi, perché riuscivo comunque ad avere un contatto con le persone, anche se attraverso uno schermo. Ora che siamo tornati ad una apparente normalità tutto sembra più complicato. Mi accorgo di avere maggiori difficoltà all’interno di molti contesti sociali; problemi che non ho mai avuto tanto quanto adesso: ansia persistente, fatica a fare amicizia e a mantenere queste stesse amicizie. A livello scolastico il mio approccio alla scuola e allo studio non è più adatto a quello degli anni scorsi e non riesco a reggere tutte le richieste dei professori. Questo perché sto imparando in settimane a fare ciò che avrei dovuto imparare nel corso di anni. 

L’unico modo che io trovo veramente utile per superare periodi difficili, è “semplicemente” chiedere aiuto. Che siano genitori, parenti, amici o professionisti o, in ogni caso, persone che possano indicarci la via più giusta e utile da percorrere.

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Come il COVID ha cambiato la mia vita

“Restate a casa” dicevano “Ricordatevi di lavare le mani” ricordavano. “Mantenete le distanze”. Sono queste le frasi che continuano a risuonare nella mia testa nell’ultimo anno e mezzo. Un giorno sei a casa di un amico a giocare a Monopoly e il giorno dopo ti ritrovi isolato dal mondo intero perché un virus cinese si sta diffondendo velocemente in tutti i paesi. Quando ci dissero che saremmo stati a casa da scuola per una settimana eravamo felici perché ci eravamo tolti il peso di doverci svegliare presto la mattina e doverci preparare per un’altra giornata monotona che comprendeva scuola e studio. Quella settimana diventò un mese, poi due mesi fino ad arrivare al 7 giugno con l’ultima lezione in DAD. Quando è arrivata l’estate sembrava che si stesse tornando alla normalità, anche se a dividerci c’erano le mascherine e un metro di distanza; in tutti quei mesi non mi sono mai mancate così tanto le piccole azioni quotidiane che spesso troviamo insignificanti ma alla fine fa strano non farle: per esempio prendere l’autobus, prendere qualcosa al bar, potersi spostare da un luogo all’altro senza un foglio che ti permetta di girare solo se si è “congiunti” ecc…

Il mio 2020 è stato un anno strano; è stata un’esperienza, un’avventura che mi sono ritrovata a fare senza volere ma che comunque mi ha dato tanto. 

Il mio vero incubo legato alla pandemia inizia lo scorso marzo. Nel giro di 15 ore due delle persone a me più care sono state male e nel giro di 2  giorni le ho perse entrambe. Tutti e due erano positivi ma se ne sono andate per motivi non legati al covid; tutti i dottori continuavano a dire che non era colpa del virus, ma io continuo a pensare che se non fosse stato per quello, ciò che me li ha portati via non si sarebbe mai presentato. Non essere riuscita a dire addio a mio padre e a mia nonna è stato difficile; io ero a casa, positiva al covid con tutti i sintomi possibili. una volta mi hanno definita come una sopravvissuta a ciò che era successo. In qualche modo sono riuscita ad andare avanti, anche da debole dovevo continuare a pensare che la mia vita continua e nulla poteva cambiare ciò che era accaduto, dovevo solo accettarlo. 

Sarebbe bello avere una macchina del tempo che rispondesse a tutti gli “E se….” che ci chiediamo tutti i giorni. “E se non ci fosse il covid, come sarebbe il mondo in questo momento?” “E se le persone avessero deciso di stare a casa piuttosto che fare festa con gli amici quando migliaia di gente moriva ogni giorno, i contagi non sarebbero minori?” “E se le scuole non avessero deciso di fare la DAD lo scorso anno, come sarebbe il mio rendimento scolastico?” 

 

 

 

           

 

Il Covid: ieri, oggi e domani

Classe 3El

Le distanze, le mascherine, i banchi separati a scuola, i posti distanziati sugli autobus, le file per entrare nei negozi, i tavoli da quattro a ristorante…

Ormai sono due anni che tutto ciò va avanti, che vanno avanti le preoccupazioni, le ansie, le paure e i disagi, due anni che evitiamo le grandi città, i viaggi lontani, le cene al chiuso in tanti…

Onestamente anche basta, non se ne può più!

Me lo ricordo ancora che cosa ho fatto quell’ultimo giorno di scuola, un giorno normalissimo ma che forse non dimenticherò mai, come sono andate le cose e come un normalissimo e spontaneo “ciao, a domani” si è trasformato in un ultimo giorno di scuola a distanza, senza l’emozione dell’ultima campanella, senza i saluti, gli abbracci, gli sguardi rilassati e la mente che già ci immaginava sulla sdraio in riva al mare a Riccione.

Seriamente, chi se lo scorda quel 22 febbraio 2020?

Mi ricordo che quel giorno avremmo dovuto avere la verifica di chimica, insomma già una verifica ha il suo perché, ma poi se è di chimica e studi al liceo linguistico allora ho già detto tutto, non ne parliamo. Il prof era assente, e ancora mi ricordo la scena di quando è entrata la supplente in classe. Siamo passati da un momento di “non è vero, è uno scherzo" ad un attimo dopo quando senza neanche rendercene conto non avevamo già più i libri sul banco. Ci era proprio dispiaciuto... 

Uscita da scuola quel giorno sono rimasta fuori con le mie amiche. Ci siamo divertite, abbiamo chiacchierato e praticato lo sport che a noi riesce meglio: lo shopping. Ma quella sera quando le ho salutate, chi se lo sarebbe mai aspettato che un’uscita del genere l'avrei rifatta circa a metà giugno?  

Poi sono arrivate le prime notizie, tutti “felici” di non andare a scuola per qualche giorno, di staccare e rilassarsi e tutti pronti a godersi delle “vacanze” né previste né meritate. I giorni passano e l’inaspettata situazione inizia all’improvviso a sfuggire di mano ed è il momento del primo lockdown.

Il primo lockdown l’ho vissuto abbastanza bene, si certo, indubbiamente con l’ansia di contrarre il virus e la paura di quelli che nel caso sarebbero potuti essere i sintomi e gli effetti collaterali. Chiusi in casa, quindi io, mia sorella e i miei genitori e niente altro da aggiungere se non che siamo stati veramente ma veramente fortunati. La situazione fuori sfuggiva di mano a tutti e i contagi crescevano di centinaia in centinaia.

Tra torte, pizze, pane e crostate, puzzle e serie tv all’ignoranza, in un qualche modo il primo lockdown è passato. Poi è venuta la paura di non sapere come comportarsi, l’ansia di poter attaccare il virus ai nonni, che prima vedevo tutti i giorni, e che ora non vedevo da mesi.

Ma poi, è arrivata l’estate e, appena abbiamo visto il numero dei contagi scendere ed abbassarsi, la maggior parte delle persone credeva di aver riconquistato la tanto ambita libertà.

È stata un’estate tutto sommato “normale”, “nuova” ma “normale”. Ho cercato di stare attenta il più possibile, mi sentivo un senso di responsabilità addosso che mi frenava dal vedere ogni giorno persone diverse, dal sedermi al chiuso nei locali e nell'abbracciare e saltare al collo alle persone che più mancavano.

Poi è tornato l’autunno e, come un film che sembrava ripetersi di continuo, sono risaliti i contagi. Da qualche giorno in presenza siamo tornati in dad e in questo loop che sembrava non finire mai la sola luce che vedevo all’orizzonte era il Natale. Il secondo lockdown, se devo essere onesta, l’ho vissuto un po’ peggio. Vedevo magari qualcuno che prendeva le regole più alla leggera, che si trovava con amici e parenti, come aveva sempre fatto, e questa cosa non mi andava giù. Il primo Natale da soli chiusi in casa è stato un po’ una “sofferenza”. Ho la fortuna di aver sempre vissuto queste festività insieme ad un gran numero di parenti, con pranzi che sembrano non finire mai e chiacchiere di quelle vere e sincere. Fortunatamente era sempre di più il senso di responsabilità che mi premeva dentro, come una sorta di voce della coscienza, piuttosto che l’istinto di fare ciò che più mi andava. I lockdown sono stati lunghi e sembravano non finire mai, le vittime sono state innumerevoli e i dolori, che non posso neanche immaginare, hanno fatto sopperire centinaia e centinaia di persone in tutto il mondo. Lutti, sofferenze, dispiaceri, e penso sia giusto riflettere sulla fede. Credo sia normale che anche tra le persone più credenti e fedeli, ci siano state persone che hanno avuto dei momenti di sconforto, dei momenti in cui, penso possa essere stato umano pensare di non avere più nulla in cui credere e sperare e che quindi anche il Signore li avesse abbandonati. Gente che, come Gesù aveva dubitato della presenza del Padre, ha dubitato della presenza costante e sempre presente del Signore anche nelle situazioni più difficili. Sicuramente è spiegabile e umano, ma è soprattutto in una situazione difficile che il Signore ci è più vicino e sa quello che noi proviamo, basta quindi affidarci a lui, e continuare a credere, a pregare, e soprattutto basta sapere che lui c’è sempre, sta a noi andargli incontro.

 ***

Il primo lockdown l’ho vissuto con ansia e paure.

Stavo andando a scuola, in palestra, vedevo gli amici, poi, con non tanto preavviso mi sono ritrovata chiusa in casa, con la scuola in dad, la palestra chiusa, e gli amici in chat, sembrava un incubo.

Poi inizi a pensare che se provi ad uscire, vieni multato, ti puoi ammalare, puoi infettare i tuoi genitori, i nonni, le persone care, e potrebbero anche morire: un incubo.

Da quel momento ho iniziato a pensare come era meglio organizzare la giornata: guardavo la tv, a volte leggevo, giocavo con l’ipad, scrivevo e mi sentivo con i miei amici, mi dispiaceva tantissimo non poterli vedere, non andare a scuola, cercavo di trovare lati positivi di questa situazione.

E’ vero, passavo più tempo a casa con la mia famiglia, ma non sempre bastava, e a volte vedevo le giornate grigie, anche se il meteo non lo era, diventavo triste e poi tutte quelle persone che morivano.

Mi sono anche chiesta: “ma se Dio esiste, perché permette che tutto ciò avvenga?” ero tanto arrabbiata con lui, poi riflettendo, pensavo che in realtà, nel bene e nel male lui c’è sempre, a darci forza per superare anche i momenti bui, che l’uomo ha generato.

E così mi sollevavo un po’ il morale, anche se la scuola è stata davvero pesante; è vero che magari per verifiche o interrogazioni poteva esserci meno ansia, perché si era nella propria casa, ma io avrei preferito sentirmi battere il cuore per l’ansia di un compito piuttosto che l’ansia che qualcuno potesse stare male.

E’ stato un anno scolastico difficile, e poi per noi adolescenti che scopriamo un po’ di mondo adesso credo sia stato ancora più traumatico, fortunatamente siamo tutti tecnologici, quindi ci sentivamo e ci scrivevamo in continuazione per farci compagnia, ma non è mai come uscire e parlarci guardandoci negli occhi, siamo comunque riusciti a restare uniti e darci forza a vicenda.

Essere tornati a scuola è veramente una libertà, non completa, perché dobbiamo stare attenti alle regole del covid, dobbiamo indossare la mascherina, che dopo un paio di ore, diventa noiosa, dobbiamo aprire spesso le finestre, e andando verso l’inverno non è il massimo, ma siamo insieme, possiamo uscire, ed è bellissimo.

Pensando però a quello che è successo, alle perdite di persone care e no, alle perdite di lavoro per tante persone, è devastante anche psicologicamente.

Dovremmo prendere spunto da questa disgrazia, per riflettere sulle cose essenziali e il superfluo, sull’amicizia, sull’amore, a cui solitamente non dedichiamo il tempo necessario, o diamo poca importanza, perché tanto sappiamo che c’è sempre un amico o un compagno, invece non bisogna mai dare niente per scontato.

Dobbiamo riuscire a rinnovare, in modo sano, la nostra società dando valore ai rapporti umani e importanza alle cose che prima trascuravamo.

***

Lo scorso anno scolastico è stato sicuramente il più complesso che abbia mai dovuto affrontare, un vero e proprio percorso ad ostacoli. Solamente che gli ostacoli aumentavano di volta in volta e non riuscivo a vedere l'arrivo. L'ansia aveva preso il sopravvento su di me, mi aveva tolto il piacere di alzarmi la mattina dal letto e con la serenità di prima. E le cose che dovrebbero essere la normalità, la scuola, lo sport e soprattutto le relazioni con le altre persone, erano diventate per me estranee. Anche solo prendendo l'autobus o entrando in classe mi sentivo diversa, con gli occhi di tutti costantemente puntati addosso e pronti a giudicarmi da un momento all'altro. Non ero in grado di dare una definizione a quel sentimento, e non ne sono in grado tutt'ora. Avevo solo voglia di chiudermi in camera mia e andare sotto le coperte isolandomi da tutto e tutti. Fisicamente mi sentivo più debole e mentalmente senza energie, senza motivazione e senza un obiettivo. Per me nella vita devi sempre porti degli obiettivi, avere delle speranze, essere fiducioso, sia in te stesso sia negli altri. Era una sensazione che mi rendeva esausta dalle sei di mattina alle undici di sera, e anche alla notte considerando che questa sofferenza non mi dava un minimo di pace facendomi dormire. Avrei voluto solo un momento di stacco, in cui mi sedevo e chiudevo gli occhi non vedendo l'ora di riaprirli e vedere quanto fosse bello avere la mia famiglia così vicina. Quel periodo ha di certo consolidato il rapporto con i miei genitori, siamo sempre stati insieme. La mia coscienza aveva un peso talmente grande che a parole non si può nemmeno provare a far capire. Avevo tanti rimpianti e sensi di colpa su quello che stava succedendo, ma allo stesso tempo ero consapevole del fatto che non potevo farne una cosa così personale. Stavo coinvolgendo tutti, non solo me, in fin dei conti. Ero felice le prime settimane a casa da scuola, non ci pensavo neanche alla gravità di quello che stava succedendo, ero incentrata unicamente sul saltare tutte le verifiche che avrei avuto in quei giorni. A ripensarci sono ancora troppo “piccola” per poter avere sempre la giusta mentalità per affrontare le cose.  Però qualcosa l'ho capito col tempo, “grazie” alla pandemia sono cresciuta e non rifarò gli stessi errori soprattutto sull'essere superficiale. L'unico aspetto positivo credo sia questo. Per me stessa sono stati due/tre anni di totale cambiamento, sicuramente negativo, perché il malessere che mi ha preso non mi passerà così facilmente. Ma è quasi una certezza che tutti non saranno più quelli di prima, e avranno una visione completamente stravolta del presente. In tutte le azioni che facciamo e i posti dove andiamo, ora siamo circondati da mascherine e non più da semplici facce nuove. La comunicazione è a dir poco impensabile, i dialoghi sono diventati tutto un “non si capisce niente con la mascherina”. Tutto ciò rovina dei bei momenti, e ci allontana da quello che una volta per noi era scontato. Non si intravedono neanche le espressioni, e di certo non sono provvista di così tanta immaginazione per indovinare se sorridi o no. Ci vediamo a metà. Abbiamo dovuto farci l'abitudine ormai, non avevamo altra scelta. Mi manca quell'altra metà dei miei amici e dei miei parenti. E' assurdo come le cose siano potute cambiare tanto in poco tempo, faccio fatica a ricordarmi della me prima del covid, ricordo solo che non aveva bisogno di forzare un sorriso o una risata.  Era tutto così spontaneo e naturale, sembra passata un'eternità.

 

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Il COVID ha cambiato la vita di tante persone, ma non più di tanto la mia.

Il primo lockdown l'ho vissuto senza problemi, preoccupazioni o ansie. Al contrario, ero contenta di stare a casa (NON della pandemia), perché potevo dormire di più e sentirmi più a mio agio a casa. Queste potrebbero sembrare ragioni banali, ma sono fondamentali per il proprio benessere. Dato che vivo a Soliera, anche il tempo per andare e tornare da scuola è prezioso: infatti durante il primo lockdown sono riuscita a trovare tempo per imparare a suonare un nuovo strumento e a dedicarmi di più alle cose che mi piace fare.

In quei momenti io non ho mai dubitato dell'assenza di Dio. Non ne vedo il motivo, siccome non esiste solo il bene, ma anche il male. Alla fine ogni situazione ha la sua soluzione, alcune piacevoli altri meno, ma è così la vita: non si può mai stare solo al massimo così come non si può mai stare solo al minimo.

Anche lo scorso anno scolastico l'ho passato senza problemi per le ragioni già dette prima. Un'altra cosa che mi faceva piacere è che non mi trovavo in classe. Forse l'unica cosa negativa che vedo è che la DAD mi ha impedito di relazionarmi con la classe, ma secondo me, anche se non fosse per la pandemia, io a prescindere non sarei riuscita a farlo (più dettagli sull'argomento nell'altro documento).

Il presente, dal punto di vista delle restrizioni, lo vivo senza difficoltà. Non capisco come faccia la mascherina a dare così tanto fastidio a certa gente.

Per quanto riguarda il futuro, sinceramente non ho grandi aspettative. Però dentro di me combattono 2 parti: quella troppo speranzosa, la quale pensa che qualcosa possa cambiare verso il giusto e l'altra pessimista quasi indifferente, molto diffidente che non ha speranze in niente.

Il discorso delle amicizie e più in generale le relazioni, pur non avendo la possibilità di incontrarsi vis a vis, la gente ha avuto la possibilità di mantenere questi rapporti grazie alla tecnologia (la stessa cosa vale anche per me).

 

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La nuova malattia chiamata COVID19 ci ha davvero preso di sorpresa al di là della sua origine controversa. Credo nessuno si aspettasse un ciclone così forte da coinvolgere le vite di tutti, da più piccoli ai più grandi, o perlomeno io non me lo sarei mai aspettata. In pochissimo tempo siamo entrati in una bolla così insonorizzata dove tutto era fermo, silenzioso, in cui la solitudine faceva da padrone. Non potevamo più andare a scuola, uscire per un gelato o semplicemente trovarci al parco per quattro chiacchiere. Il tempo era lentissimo e le giornate infinite. La stragrande maggioranza delle attività lavorative, se non indispensabili, erano da remoto o sospese mentre si faceva una fila incredibile per andare a fare la spesa e ad ingresso contingentato. Insomma è stato difficile credere che la quotidianità fosse in così poco tempo cambiata e non solo in Italia ma nel Mondo. Quanta noia e paura anche se inizialmente non è stato così, soltanto con il passare del tempo, la necessità di nuovi posti letto in terapia intensiva, i contagi che si moltiplicavano e le raccomandazioni del Governo e dei medici abbiamo preso coscienza di quale terribile malattia stessimo affrontando.

Ricordo con tanto dolore l’immagine di quei mezzi dell’esercito che da Bergamo portarono una grande quantità di salme per essere sepolte senza la possibilità che i loro cari potessero dargli l’ultimo saluto e piangerli nel momento dell’addio su questa terra. E’ un triste e doloroso ricordo che ritorna spesso nella mia mente. Le persone morivano da sole nei loro capezzali d’ospedale o meglio senza i propri familiari. I medici e gli infermieri hanno fatto tantissimo, si sono spinti al limite dell’umano ma il COVID era più forte.

Sebbene ad oggi la malattia non sia debellata certo è che siamo a buon punto se continuiamo su questa strada piastrellata di rispetto per chi soffre e considerazione per la società. Abbiamo avuto la possibilità di ritornare a scuola, è vero mascherati, ma siamo di nuovo insieme, con la possibilità di interagire personalmente e di riconoscerci gli uni gli altri. Non dobbiamo sempre guardare solo il negativo ma anche ciò che di positivo abbiamo potuto riscoprire. Certamente ho imparato che la collettività non è soltanto la somma di tutti i cittadini ma è quel sentimento di coesione che ci spinge ad agire non solo per il nostro bene ma contemporaneamente per il bene civico della collettività a cui apparteniamo. Ho scoperto quanto le persone possano essere generose e compassionevoli con il prossimo e se i rapporti sono veri non basta non frequentarsi per un po' di tempo, quando ci si ritrova è tutto molto più bello e colmo di significato.

Tutto questo non significa che il Covid fosse necessario e sia ben accetto ma poiché il passato non possiamo cambiarlo e anche se siamo stanchi cerchiamo di rendere proficuo ciò che possiamo trarre da questa terribile esperienza ringraziando perché comunque NOI siamo ancora qui a vedere il sole che sorge, a farci una risata con i nostri amici e ad avere una possibilità per godere appieno della vita.

Certo è che saremmo davvero ciechi se non avessimo l’umiltà di riconoscere che non siamo soli, non possiamo vivere nel guscio del nostro egoismo e vivere solo di noi stessi.

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Le distanze, le mascherine, i banchi separati a scuola, i posti distanziati sugli autobus, le file per entrare nei negozi, i tavoli da quattro nei ristoranti…

Ormai sono due anni che tutto ciò va avanti, che vanno avanti le preoccupazioni, le ansie, le paure e i disagi, due anni che evitiamo le grandi città, i viaggi lontani, le cene al chiuso in tanti…

La nuova malattia chiamata COVID19 ci ha davvero preso di sorpresa al di là della sua origine controversa. Credo nessuno si aspettasse un ciclone così forte da coinvolgere le vite di tutti, da più piccoli ai più grandi. In pochissimo tempo siamo entrati in una bolla così insonorizzata dove tutto era fermo, silenzioso, in cui la solitudine faceva da padrone.

 

Lo scorso anno scolastico è stato sicuramente uno dei più complessi che abbiamo mai dovuto affrontare, un vero e proprio percorso ad ostacoli. Solamente che gli ostacoli aumentavano di volta in volta e non riuscivamo a vedere l'arrivo. L'ansia aveva preso il sopravvento su di noi, ci aveva tolto il piacere di alzarci la mattina dal letto con la serenità di prima. E le cose che sarebbero dovute essere la normalità (la scuola, lo sport e soprattutto le relazioni con le altre persone) erano diventate per noi estranee.

 

Dopo quel 22 febbraio 2020, tutto è cambiato radicalmente.

Tornati a casa, dopo un normalissimo giorno di scuola arrivarono le prime notizie: tutti “felici” di non andare a scuola per qualche giorno, di staccare e rilassarsi e tutti pronti a godersi delle “vacanze” né previste né meritate.

Nessuno però sapeva che ad aspettarci sarebbero stati due anni di segregazione in casa, senza contatti. 

Non potevamo più andare a scuola, uscire per un gelato o semplicemente trovarci al parco per quattro chiacchiere. Il tempo era lentissimo e le giornate infinite. La stragrande maggioranza delle attività lavorative, se non indispensabili, erano da remoto, o sospese mentre si faceva una fila incredibile per andare a fare la spesa e ad ingresso contingentato. Insomma è stato difficile credere che la quotidianità fosse in così poco tempo cambiata e non solo in Italia ma nel Mondo.

 

I lockdown sono stati lunghi e sembravano non finire mai, le vittime sono state innumerevoli e i dolori, che non possiamo neanche immaginare, hanno fatto sopperire centinaia e centinaia di persone su tutto il pianeta.

Sebbene ad oggi la malattia non sia debellata, certo è che siamo a buon punto se continuiamo su questa strada piastrellata di rispetto per chi soffre e considerazione per la società. Abbiamo infatti avuto la possibilità di ritornare a scuola, con mille restrizioni, ma siamo di nuovo insieme.

 

In tutte le azioni che facciamo e i posti dove andiamo, però, ora siamo circondati da mascherine e non più da semplici facce nuove. La comunicazione è a dir poco impensabile, i dialoghi sono diventati tutto un “non si capisce niente con la mascherina”. Tutto ciò rovina dei bei momenti, e ci allontana da quello che una volta per noi era scontato. Non si intravedono neanche le espressioni. Ci vediamo a metà. Abbiamo dovuto farci l'abitudine ormai, non abbiamo altra scelta.

 

È normale che tra le persone più credenti e fedeli, ci siano state persone che hanno avuto dei momenti di sconforto, dei momenti in cui è stato umano pensare di non avere più nulla in cui credere e sperare che, quindi, anche il Signore, li avesse abbandonati. Gente che, come Gesù aveva dubitato della presenza del Padre, ha dubitato della presenza costante e sempre presente del Signore anche nelle situazioni più difficili. Sicuramente è spiegabile e umano, ma è soprattutto in una situazione difficile che il Signore ci è più vicino e sa quello che noi proviamo, basta quindi affidarsi a lui, e continuare a credere, a pregare, e soprattutto basta sapere che lui c’è sempre. Sta a chi ci crede andargli incontro.

Ringraziamo il Vescovo per il Suo intervento nel nostro Liceo e riportiamo il suo messaggio in occasione del Natale

"Il mito è notissimo: la città di Troia è in fiamme ed Enea deve fuggire con la sua famiglia, ma il vecchio padre, Anchise, ormai infermo, non vuole abbandonare la sua casa. Enea riesce alla fine a convincerlo e, portandolo sulle sue giovani spalle, mette in salvo l'anziano, il figlio e la moglie. L'indimenticabile scena virgiliana, rappresentata tante volte nella poesia, nella pittura e nella scultura, è stata rievocata da una studentessa sedicenne del Liceo "Muratori San Carlo" pochi giorni fa, durante un incontro delle terze, al quale ero stato invitato. I ragazzi, che avevano riflettuto sulla pandemia a partire dalla durissima esperienza del lockdown, hanno potuto offrire il loro punto di vista, libero e argomentato. Ho avuto il dono di ascoltare per oltre un'ora la voce degli adolescenti, che hanno posto anche qualche domanda. Si sono confermati capaci di analisi profonde, provocatorie e mai banali, di sguardi profondi, di sogni e progetti. Ancora una volta hanno smentito il cliché che vorrebbe "i giovani d'oggi" superficiali e distruttivi.

Una ragazza, come accennavo, ha richiamato il mito di Enea che porta sulle spalle il padre Anchise, vedendovi un simbolo del periodo più duro della pandemia, nel quale "noi ragazzi eravamo chiamati a custodire gli anziani". Si riferiva in particolare ai nonni, verso i quali si richiede una cura particolare, per comunicare l'affetto ma non il contagio. Ed è proprio custodendo gli anziani che i giovani si sentono, a loro volta, custoditi. Una lettura stupenda, che capovolge con una sola intuizione la tanto diffusa convinzione degli adolescenti "caricati" sulle spalle degli adulti. La propongo come immagine natalizia, trasferendola dall'Eneide ai Vangeli: se è vero che Giuseppe e Maria hanno portato in braccio Gesù bambino, è ancora più vero che era lui, il Figlio di Dio, a portare sulle spalle i genitori; è disceso in terra per prendere su di sé la condizione delle donne e degli uomini, fragili e sofferenti.

Finalmente, da qualche mese, i riflettori sociali e politici - e speriamo presto anche economici - sono puntati sugli adolescenti, vittime spesso silenziose della pandemia. Gli indicatori della crisi non li hanno registrati subito, perché non si ammalavano, sfuggivano alle rilevazioni statistiche e, forse, venivano ritenuti a loro agio nel mondo digitale. In realtà soffrivano molto, come dimostrano le testimonianze che si stanno raccogliendo in tutti gli ambienti: famiglia, scuola, sport... e comunità cristiane. È incredibile che molti di loro, pur avendo patito due anni di relazioni bloccate, abbiano la forza interiore di sentirsi custodi degli anziani. Sono provati, ma non prostrati; feriti, ma non moribondi. Sono loro che potranno a poco a poco ricostruire il mondo delle relazioni, portando sulle spalle gli adulti. Non possiamo, certo, chiudere gli occhi sui disagi adolescenziali, che si esprimono anche nel fenomeno delle "bande" e dei gesti di teppismo; ma sarebbe un grave errore fare di ogni erba un fascio e considerare gli adolescenti un problema, perché in realtà sono una risorsa. Spesso ci chiediamo come riuscire a parlare a loro. È tempo che rovesciamo la prospettiva e ci chiediamo come riuscire ad ascoltarli. Il Natale, mistero di un bambino che viene a portarci sulle sue spalle, sia tempo di ascolto dei bambini, dei ragazzi e dei giovani".